sabato 13 gennaio 2007
Condizioni stazionarie
Avvampando tra i tralicci metallici, la tua corsa ritmata calpesta binari inconsapevoli stesi dalla routine. Ogni tuo passo è una nota tonica in un discorso che il tuo corpo affronta incessantemente, combattivamente, perché non sopporti i limiti, perché la tua massima aspirazione è valicare la “linea gialla”, perché vuoi cercare di toccare il confine. E ti chiedi nervosa cosa stiano indagando le decine di persone che hai accanto, dove stiano dirottando la loro vista binoculare di certo non preposta al funzionamento nel sottosuolo. I lineamenti degli uomini emanano un leggero odore di sonno, che persisterà all’incirca fino alle ore 20:30; da teste femminili invece sembra generarsi un quasi impercettibile suono come di fiammiferi sfregati contro l’interno del cranio. Pensi che la diversità tra i due sessi sia racchiusa in quell’immagine, contemporaneamente tenera, poetica e patetica. Sostieni che gli individui sinceramente in grado di provare un senso di straniamento davanti ad un simile contesto siano davvero in grado di fare la differenza. Una volta un’amica ti aveva chiesto cosa te ne facevi di quel vecchio walkman a musicassette, che per giunta manteneva la propria integrità meccanica solo per miracolo; le avevi risposto, molto elegantemente, che il suo alto tasso di deficienza mentale non le avrebbe mai permesso di cogliere il fascino di una musica veicolata da un attrito, la sensualità di un nastro che carezza una testina. E per quanto ti sforzassi, non riuscivi a fare a meno della sicurezza che quel metodo di riproduzione del suono ti conferiva: quel vecchio walkman era sempre con te. Sei assolutamente certa che qualcosa non quadri. Rabbrividisci all’idea che le enormi potenzialità percettive dei sensi siano in realtà finalizzate ad uno stoccaggio emozionale estremamente soggettivo e presumibilmente fuorviante, falso. In questo istante hai paura. Intravedi tossine, nerissime, levarsi dal fondo della banchina ed insinuarsi lentamente nelle alcove dell’anima. Ora sorridi. Nonostante la tua pelle levigata non abbia ancora respinto l’elettricità del timore, pensi che rifugiarsi nell’immaginazione non sia poi tanto male. Ho dimenticato la precisa situazione nella quale ho confessato di amarti. Ma non mi dispiace particolarmente, perché in questo momento il mio sentimento per te mi fa essere sicuro di quello che provi, ed il sussurrarlo mi fa battere il cuore come se mi stessi dichiarando ancora una volta: in questo preciso momento sei insofferente. Non per via dell’attesa cui sei costretta, non perché ti manco, no… semplicemente perché là sotto non puoi vedere la Luna. Ed è la stessa cosa che penso io fissando il soffitto del mio ufficio. E ti amo così. Pensandoti nella tua stazione della metropolitana.
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1 commento:
prendo i mezzi sempre....mattina giorno sera...mattina presto notte fonda...mi chiedo spesso queste cose. chi è? dove va? cosa fa? mi piacciono molto i mezzi pubblici proprio per la loro umanità, come i pullman messicani, bellissimi
adoro anche le stazioni e la loro dinamicità, o la pace che danno quelle di provincia...bello brava Elda
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